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mercoledì 04 dicembre 2024

PSICO-COSE — il Blog di Federica Giusti

Federica Giusti

Laureata in Psicologia nel 2009, si specializza in Psicoterapia Sistemico-Relazionale nel 2016 presso il CSAPR di Prato e dal 2011 lavora come libera professionista. Curiosa e interessata a ciò che le accade intorno, ha da sempre la passione della narrazione da una parte, e della lettura dall’altra. Si definisce amante del mare, delle passeggiate, degli animali… e, ovviamente, della psicologia!

Quando il diritto alla disconnessione non viene accolto

di Federica Giusti - venerdì 01 novembre 2024 ore 08:00

Qualche settimana fa abbiamo parlato del diritto alla disconnessione di ognuno di noi, in particolare facendo riferimento a ciò che accade nella vita professionale.

Oggi vorrei concentrarmi di più su ciò che possiamo fare noi quando gli altri travalicano comunque i paletti che noi abbiamo deciso di mettere.

Innanzitutto dipende dal contesto, perché se siamo dipendenti e il nostro superiore non rispetta i limiti, può diventare complicato riuscire a farci rispettare. Ma, anche in questo caso, dovremmo comunque provarci, magari alleandoci con i colleghi e cercando di far passare le nostre ragioni o cercando comunque una sana via di mezzo. Ci possono essere condizioni in cui non è attuabile questa situazione ma in quel caso molto spesso ci sono anche i presupposti per agire in maniera più diretta e formale.

Se ciò non è fattibile, la soluzione non è più nell’ altro ma in noi e nel nostro atteggiamento, cercando di attuare tutti quei comportamenti volti a non farci travolgere più del dovuto. Della serie che non posso decidere se oggi pioverà o meno, ma posso decidere di aprire l’ombrello in caso di necessità.

Il nostro ombrello emotivo è fatto dalle nostre personali risorse.

Se riusciamo ad avere una vita il più possibile serena, nella quale sia possibile ritagliarci degli spazi di decompressione e di ricarica, in famiglia ma anche individualmente, allora forse diventa più semplice gestire quella richiesta fuori tempo.

Richieste alle quali è anche possibile non rispondere, decidendo di farlo senza sentirsi in colpa.

E qua mi riferisco maggiormente a chi può gestire in autonomia il proprio lavoro. Sappiamo, io in primis, che se diamo disponibilità illimitata alla fine qualcuno che se ne approfitta non rispettando i nostri spazi lo troviamo sempre. E allora proviamo ad agire in scienza e coscienza, chiedendoci: “Sono certo di ciò che sto facendo e di come mi sto comportando, o come sto gestendo questa situazione?”. Se la risposta è sì, dovremmo essere in grado di mettere noi un limite a ciò che gli altri non sanno fare, non rispondendo, magari staccando il telefono del lavoro, o inserendo la risposta automatica.

La pediatra che segue Vinicio ha il numero su whatsapp ed è super disponibile, però appena le invii il messaggio ti ricorda le regole per gli appuntamenti, le modalità di fare richieste (lei vieta gli audio ad esempio e le foto o i video) e specifica che risponderà quando potrà. E questo potrebbe essere un esempio da seguire.

Io, nel mio piccolo, ho iniziato a non rispondere più a messaggi audio superiori ai due minuti, l’ho specificato e lo faccio, poi, ovviamente, siamo tutti in grado di essere flessibili, ma la regola serve per far sì che chi non riesce in autonomia a gestirsi, lo faccia grazie alle nostre indicazioni. C’è chi ha risposto comprendendo, chi ha iniziato a mandare 10 messaggi di 2 minuti. Che fare? Farsi la domanda di cui sopra, essere sereni con il proprio operato, e lasciare lì quelle notifiche.

Il nostro tempo e il nostro spazio mentale sono sacrosanti, ma dobbiamo essere noi in grado di farlo comprendere agli altri, non possiamo pretendere che lo facciano loro al posto nostro.

E voi? Riuscite a far rispettare il vostro diritto alla disconnessione?

Federica Giusti

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