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Attualità martedì 01 marzo 2022 ore 11:29

Negozi stravolti dalla crisi, ecco chi ha chiuso

L'analisi di Confcommercio Toscana che ha preso in esame le città di Arezzo, Firenze, Grosseto, Livorno, Lucca, Massa, Pisa, Pistoia, Prato e Siena



FIRENZE — La crisi dei consumi penalizza il commercio tradizionale, sono 236 le attività scomparse in Toscana nel solo periodo pandemico, nella differenza tra 2019 e Giugno 2021.

Il calo più forte ha interessato i negozi di moda, mobili, ferramenta, libri, giocattoli, poi i distributori di carburante. Scendono anche le imprese del commercio ambulante.  Ma se le botteghe sotto casa diminuiscono, in compenso salgono un po’ ovunque e-commerce, ricettività, bar e ristoranti.

Unici con il segno più i negozi di servizi informatici, infotainment domestico e telefonia, le farmacie e le tabaccherie (queste solo nei centri storici), ma anche le aziende di commercio elettronico, con incrementi percentuali a due cifre. In crescita il settore della ricettività e della ristorazione, nonostante la battuta d’arresto della pandemia.

La settima edizione dell’Osservatorio sulla demografia d’impresa nelle città italiane e nei centri storici realizzato a livello nazionale da Confcommercio con il contributo del Centro Studi delle Camere di Commercio G. Tagliacarne, è stato analizzato da Confcommercio Toscana che ha fornito i dettagli della situazione regionale, dopo aver preso in esame le informazioni relative alle città di Arezzo, Firenze, Grosseto, Livorno, Lucca, Massa, Pisa, Pistoia, Prato e Siena nel periodo compreso tra fine 2012 e giugno 2021.

Il calo delle botteghe in Toscana, almeno a livello percentuale, interessa in maniera pressoché simile sia i centri storici, che segnano un -12,3% di esercizi, sia le aree di periferia, dove si sale al -12,8%. Perdite moderate si registrano per i negozi che vendono beni essenziali (ad esempio, gli alimentari). In controtendenza con il commercio, il settore dell’accoglienza, che continua a crescere nonostante la battuta d’arresto legata alla pandemia: strutture ricettive (in particolare quelle extraalberghiere), bar e ristoranti sono aumentati negli ultimi dieci anni di circa il 17% (tra l’1,5 e il 2% nel periodo pandemico), passando dalle 8.387 unità del 2012 alle 9.806 del Giugno 2021, nel complesso delle dieci città capoluogo di provincia.

“Tecnologia, benessere e salute sono forse le uniche voci di spesa sulle quali, potendo, non si risparmia. Ma i livelli generali di consumo delle famiglie toscane sono tornati indietro di quasi trenta anni, quindi il calo del settore distributivo purtroppo non stupisce - ha commentato il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni - la pandemia non ha fatto altro che aggravare un trend che era già in atto da prima, oltre ad orientare verso nuovi canali di acquisto come il commercio elettronico, che nel periodo delle chiusure obbligate è stato provvidenziale per molti. Ma se prima tra online e tradizionale c’era una netta competizione, ora la tendenza è far convivere le due realtà nella stessa impresa”. “Le nostre città stanno cambiando volto, tra nuovi stili di vita, smartworking, mobilità differente. L’obiettivo di tutti deve essere contrastare i fenomeni di desertificazione commerciale e valorizzare il tessuto economico in tutte le sue forme e funzioni, incluse quelle di attrazione culturale e turistica, di sostenibilità di quartiere e di innovazione capillare e diffusa, migliorando al contempo la qualità urbana e la coesione sociale”.

“Il problema è che le nostre città stanno perdendo pezzi importanti della loro fisionomia e vitalità - sottolinea il presidente di Confcommercio Toscana Aldo Cursano - meno negozi sotto casa vuol dire meno servizi per i turisti e i residenti (soprattutto quelli delle fasce più deboli come gli anziani). Ma vuol dire anche minor presidio delle strade, tra fondi vuoti e degrado che avanza. Se il commercio fisico muore, lo diciamo da sempre, muoiono anche le città e quel sistema di relazioni che ha come riferimento i punti vendita della rete distributiva tradizionale”.


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