Cronaca giovedì 11 dicembre 2025 ore 10:45
Truffa milionaria all'Opera del Duomo

L'indagine partita da Brescia ha portato a 9 fermi in tutta Italia, Prato inclusa. Sottratti 30 milioni di euro all'Opera di Santa Maria del Fiore
FIRENZE — Tra false fatturazioni per operazioni inesistenti, riciclaggio ed autoriciclaggio avrebbero sottratto all'Opera di Santa Maria del Fiore a Firenze qualcosa come 30 milioni di euro. L'indagine condotta dalla squadra mobile di Brescia e avviata nel Marzo scorso ha portato stamani a 9 fermi in tutta Italia, Prato inclusa e poi nelle province di Brescia stessa, Milano, Bergamo, Lodi, Rieti e Vicenza. Una decima persona destinataria di provvedimento è risultata irreperibile.
Gli indagati sono soggetti di nazionalità italiana, albanese, cinese e nigeriana. In tutto 21 le perquisizioni effettuate stamani nei confronti di altri indagati e di società con sede in Lombardia, ritenute implicate nel giro di false fatture e riciclaggio. Sono finiti sotto sequestro oltre 500mila euro in contanti, che vanno ad aggiungersi ai 200mila euro sequestrati lo scorso Settembre.
L'Opera di Santa Maria del Fiore è la realtà che nel capoluogo toscano gestisce il complesso costituito dalla Cattedrale, dal Battistero di San Giovanni e dal Campanile di Giotto.
Lo stratagemma del conto fittizio
La squadra mobile bresciana è arrivata a svelare un giro d'affari illecito che in sei mesi circa avrebbe prodotto trasferimenti illegali di denaro per 30 milioni di euro partendo da una denuncia presentata nel Marzo scorso e inerente i lavori di restauro del Complesso Eugeniano commissionati a un'impresa privata.
Ebbene: le risultanze investigative avrebbero portato ad appurare che l'Opera sarebbe stata indotta ad effettuare bonifici su un conto intestato fittiziamente per un importo di 1.785.000 euro.
Due fratelli al vertice del sodalizio
All'interno del gruppo, la posizione apicale sarebbe stata rivestita da due fratelli italiani in grado di intercettare clientela e di fornire proprie società cartiere. Così facevano da intermediari fra le imprese e alcuni cittadini di nazionalità cinese operanti tra Milano, Vicenza e Prato. Ancora di origine cinese anche la donna intestataria di un appartamento nel capoluogo lombardo che costituiva la base della banda e l'hub di stoccaggio del denaro contante.
L'ingranaggio poggiava tra l'altro su conti correnti in Italia e all'estero tra Cina, Lussemburgo, Polonia, Germania, Spagna, Lituania, Nigeria e Croazia. Il pagamento in contanti sarebbe stato gravato da una percentuale "di servizio" fino al 7% a favore dei cittadini cinesi e di un ulteriore 2% a favore dei due fratelli.
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