L’Alfabeto a memoria, l’ultimo romanzo di “Incipit"
di Pierantonio Pardi - domenica 07 luglio 2024 ore 08:00
27 giugno, un giovedì a Lucca nel racconto flash di Daniele Luti.
Feltrinelli, a Lucca. Interno giorno: trasparenze acquario per fascinoso effetto nautico, viste le gradevoli vetrate aperte su colonnati, piazzette e spazi dalla geometria tipica dei bar dalla sapienza antica. Molte persone fra le quali il Gotha dei letterati lucchesi: Marileno Dianda, Enzo Guidi tanto per fare qualche nome. Si presentava L'ALFABETO A MEMORIA di Sandro Bartolini, scrittore di qualità ed ex dirigente sindacale CGIL. Il fraseggio tra l'autore, Luciano Luciani e Daniele Luti ha messo in luce i caratteri di questo romanzo, organico alla memoria, di una comunità, quella della Val di Cecina, e di un Paese, l'Italia, colte nel loro transire dinamico dalla civiltà contadina, dai ritmi lenti, lungo gli anni di tenacia, di impegno, di civile resistere, di guerra alla guerra, all'industrializzazione, alla società contemporanea, al mondo attuale. Ci si è soffermati anche sulle scelte lessicali, sulla rigorosa convivenza dell'italiano con la patina toscana di quel particolare angolo, la Val di Cecina, che sta tra le alture del Volterrano e la marina che guarda la Corsica e l'arcipelago selvaggio "musicato" da d'Annunzio in Alcyone. Sandro è del resto scrittore colto e si è mosso, visti i luoghi, in compagnia di alcuni scrittori, fra i quali il Cassola del doppio sublimine, quello storico e solenne di Volterra, quello dell'estate è della gioia di vivere di Cecina Marina, e Pratolini con le sue coralità e "congelazioni" teatrali.
Ecco, qui finisce il racconto di Daniele, o meglio, la sintesi che gli ho chiesto per questo numero del mio blog, che parlerà non di un romanzo qualsiasi, ma del romanzo che segna la chiusura definitiva di “Incipit”, insomma, l’ultimo libro della collana e questo evento rende necessarie alcune precisazioni.
Nel mese di marzo di questo anno corrente, “Incipit”, la collana di narrativa ETS, diretta da Daniele Luti e da me, ha chiuso i battenti. Dopo 22 anni e 29 titoli pubblicati, le Editrici, di comune accordo con i condirettori hanno deciso di porre fine a questa straordinaria avventura editoriale.
I motivi? Due!
Le Editrici non se la sono più sentita di pubblicare gratis i nostri autori che, in alcuni casi, non garantivano con le scarse vendite i costi di ammortizzamento. Ma c’è da dire che alcuni di loro, invece, hanno venduto moltissimo.
Il secondo motivo va ricercato nella stanchezza di noi due condirettori che, dopo anni trascorsi a scegliere e selezionare manoscritti, a svolgere lavori di editing sui testi da pubblicare, a curare in certi casi la campagna promozionale, presentando i romanzi scelti, in Toscana, ma, spesso, anche in altre regioni, hanno deciso che la storia poteva anche finire qui, ritirandosi da vincitori di una scommessa e soddisfatti di aver fatto conoscere ai molti lettori autori originali e di talento.
Però con l’ultima uscita “L’Alfabeto a memoria” di Sandro Bartolini abbiamo voluto concludere con un’eccezione; negli anni Daniele e io abbiamo scritto spesso le prefazioni ai libri dei nostri autori, Daniele ai suoi, io ai miei, ma, in questo caso, per questo libro, per festeggiare la fine, abbiamo scritto, io, la prefazione e Daniele la postfazione.
Scherzando, ho detto a Daniele che tra trenta/quaranta anni questo libro che vede riunite le nostre firme, avrà un valore inestimabile, quasi simile a quello del famigerato francobollo “Gronchi rosa”.
Tanto per non smentire una certa dose di narcisismo…
Sandro Bartolini
L’alfabeto a memoria
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La copertina del romanzo, mai come in questo caso è indovinata, perché, pur essendo questo un libro profondo, è anche ossimoricamente leggero e divertente. Una storia da leggere anche sotto l’ombrellone, condividendo magari con i vicini i tanti ricordi e aneddoti evocati da queste pagine che abbracciano un arco di tempo piuttosto lungo e che coinvolge diacronicamente più di una generazione.
Ma cominciamo, come da rituale, dalla mia prefazione:
“ C’è un uomo, ostaggio del basso ventre, che cerca disperatamente un cesso; ha perso le chiavi di casa e non sa dove andare. Il bar è chiuso per turno, suona ai campanelli del suo palazzo, ma niente . E’ una situazione drammatica che “intender non la può, chi non la prova”. Poi, finalmente, trova un pertugio, un rifugio estremo dentro un garage sotterraneo, ma ecco cosa succede, quando finalmente sta per liberarsi:
Mentre si sta per abbassare furtivamente i calzoni, è proprio in quel momento, al fioco pallore della luce d'emergenza, di fronte alla ragnatela gigantesca che penzola nell’angolo, sopra la pila delle mattonelle, che allunga la mano, verso il bordo del cappotto. Con genuina, indicibile sorpresa, sente qualcosa di duro, metallico. Fa un salto, lo prende una contentezza straordinaria, propria dei momenti che giungono improvvisi. Le chiavi erano scivolate giù, dal buco della tasca nella fodera.
Il mondo gli sembra meno funereo. È di nuovo in pista, può rientrare in casa, nella tana, dire la sua, lottare, senza adagiarsi, arrendersi! Avrà ancora qualcosa di buono da fare.
E’ un incipit, questo vagamente prolettico, perché, più avanti, l’autore tornerà a parlare di funzioni corporali e disserterà in termini amletici se , in mancanza di un cesso, sarebbe stato meglio liberarsi in buca o in campo. E qui, oltre al dilemma, il narratore ci porta indietro nel tempo, quando nelle case non esisteva il water e la famigerata buca era il ricettacolo maleodorante dei bisogni corporali delle famiglie che, a quei tempi erano, ahimè per i nasi, numerose.
In molti lo hanno dimenticato, ma ci fu un tempo in cui nelle case la buca la faceva da padrona, gli anni in cui l'acqua corrente non arrivava ancora negli appartamenti. Gli inconvenienti erano evidenti: per primo il puzzo! Era terrificante, alzando il tappo avvolgeva secco, arrivava in gola. L'acqua nelle case, il water closed rappresentò un passo importante nella quotidianità. La buca, col tappo massiccio e il finestrino da dove prendeva luce il gabinetto, fu un caposaldo di tutto il Nord Maremma
Una volta appurato che la soluzione ideale per liberarsi era il campo, proviamo adesso a cambiare aria , andando a curiosare in questo originalissimo memoir in cui l’autore ci propone un viaggio a ritroso nel tempo, attraverso le lettere dell’alfabeto, utilizzate però non sempre in modo canonico, ma andate a pescare e a scoprire spesso all’interno di altre parole.
Un memoir, dicevo, in cui il narratore si mimetizza in Cesare, un sé bambino e si racconta attraverso frammenti emotivi, ricordi, sensazioni e appunto le famigerate lettere dell’alfabeto della memoria.
Ed ecco appunto, alla B, che fa la sua comparsa la bicicletta azzurra, un regalo di Wilma, la zia di Cesare:
(…) una diciotto da donna, vecchiotta, usata parecchio, ma era proprio un bel regalo anche se, come precisa in seguito (…) A Tirrenico invece, come in tutti i paesi collinari della Maremma, erano piuttosto restii alle biciclette, viste le numerose e ripide salite.
Tirrenico è un paese della Maremma pisana, la Maremma del nord per capirci, ridente paese sulle colline, a trecento metri scarsi sul livello del mare ed è il paese natio di Cesare. Il nome è inventato, ma forse si riferisce a Montescudaio … forse … e comunque tutti i paesi della Maremma toscana si somigliano nella geografia e nell’antropologia.
Alla C, troviamo Cecina, ma soprattutto un personaggio che occuperà un ruolo centrale nella narrazione, ma di cui non vi anticipo niente, Tony Vonnini che così ci viene descritto:
Chi è Tony Vonnini? Un omone panciuto, alto un metro e ottantatré, occhi chiari, sguardo intenso, viso ossuto, naso piccolo, regolare, barba scura, irsuta come i peli di un istrice, capelli lisci, radi, arruffati, che da tempo non hanno incrociato le forbici del barbiere. In tanti lo chiamano così: l’attore! Un uomo di spettacolo, comico e cantante, ha raggiunto una modesta notorietà in televisione e col cinema, come spalla.
Alla D troviamo una divertente dissertazione sull’uovo, o ovo come si dice in Maremma e sui diversi modi di cucinarlo e non sarà questo il primo inserto gastronomico del libro; incontreremo infatti, nelle lettere a seguire i ravioli, la polenta, le chiocciole , la zuppa …
Ma, tornando all’uovo, riporto quello che scrive l’autore:
Il pensiero però corre deciso verso le uova di gallina, del pennuto da cortile che ha rinunciato a volare, finendo per vivere al fianco della specie homo sapiens, di cui da millenni butta giù con filosofia e noncuranza anche gli avanzi della tavola, magri o ricchi.
Esilarante, in questo contesto, la descrizione di Gigi, il potente gallo di razza pisano – livornese, bianco come la neve, cresta rossa come la bandiera del Partito Comunista Italiano.
E, per quanto riguarda le lettere andate a scoprire nel corpo di altre parole, ecco che appare la E, vocale finale del Calambrone, paese tra Tirrenia e Livorno:
Le colonie del CalambronE svolgevano una importante funzione. In quei tempi antichi, le famiglie pur vivendo in terre marittime non avevano una frequentazione assidua della marina. Il Comune di Tirrenico per dare forza, robustezza, energia, sveltezza di mente alle nuove generazioni, organizzava delle permanenze nei centri estivi della zona, in colonia.
Cesare Stefani era il più piccolo di quelli che salirono sulla corriera
posteggiata in piazza della chiesa, fu l’ultimo a salire e non si accorse che mentre montava sul predellino, Maura sorrideva e le scivolavano giù lacrime silenziose. C’era grande eccitazione, le mamme da fuori la corriera lanciavano le ultime raccomandazioni alle giovani forze del paese.
“Non ti dimenticare di mangiare!”
“Dai retta a quello che ti dicono!”
“Attenta ai pericoli!”
“Non andare nell’acqua alta!”
I ricordi che si sovrappongono, spesso in maniera confusa, sono quindi il tema dominante di questi frammenti che ci fanno scoprire aspetti di una società arcaica, contadina, caratterizzata da usi e costumi molto diversi da quelli dei nostri tempi, come ad esempio, la descrizione dei lavatoi che troviamo alla I.
A Tirrenico i lavatoi pubblici davano il ritmo della pulizia degli indumenti del paese. Il primo, il più antico, in località Bellana. Coperto, lindo, vasche per l 'insaponatura, vasche per il risciacquo, il tetto lo faceva sembrare una casina delle fate. Le donne rientravano, coi panni strizzati, riposti nelle tinozze di lamiera, un cencio arrotolato sotto e le tinozze in capo, avanzavano a piedi verso il paese.
Sembra quasi che queste donne emergano come per magia da un quadro di Fattori.
Vorrei concludere questa mia introduzione, in cui ho preferito dare spesso la parola all’autore, che usa un lessico variopinto e visivo, sorretto da un’ironia di fondo che spesso sconfina nella comicità, tornando a parlare di olfatto e quindi di odori, ma stavolta non del puzzo evocato nell’incipit, ma del profumo di uno dei piatti principali della nostra cucina toscana, la zuppa, Ed è infatti con la Z che si chiude questo divertente alfabeto. Emulando l’Artusi, l’autore ci fornisce varie ricette per diverse tipologie di zuppa, ed io vi propongo quella della zuppa lombarda:
La preparazione è delle più semplici! Si abbrustoliscono le fette del pane, è consigliato il classico pane toscano, mettendole nei piatti, bagnandole col brodo di fagioli e un filo di olio d’oliva d’un contadino fidato. S’aggiungono i fagioli lessati, una passata leggera di pepe non guasta. Occhio ai fagioli, devono essere ben cotti, a fuoco lentissimo! State in campana perché uno dei segreti è proprio questo: cottura lentissima.
E con l’acquolina in bocca mi congedo da questa lettura che con un viaggio a ritroso nel tempo, provocherà in quelli della mia generazione (anni ’50) un benefico effetto di saudade (anch’io giocavo con la strombola come Cesare) e fornirà ai lettori più giovani l’ affresco di un tempo nemmeno troppo lontano dove tutto scorreva più lentamente e dove, forse, si respirava un’altra umanità.”
Ed ecco, qui di seguito, come anticipato, la postfazione di Daniele Luti:
“ Per esempio, i personaggi di Romano Bilenchi arrivano davanti ai nostri occhi di lettori assieme alla versione fanciulla di se stesso e, infatti, proprio a due passi da lì, c'è lui ormai scrittore e che è il padre, il nonno, della piccola banda di spavaldi alla Gavroche.
Ma è anche l'aedo, visto che sta un poco dentro e un poco fuori la storia, come si conviene al cultore e teorico di una memorialistica che implica emersioni e immersioni in un subconscio pieno e di emotività e di razionalismo a volte emotivo e malinconico, altre invece algido, freddo. Queste "comitive" di bambini, queste ragazzaglie arrivano dal nulla e si presentano, man mano, attraverso le loro piccole esperienze quotidiane, come ci dice Alessia Fetz, "a una maggiore consapevolezza del reale". Questi aspetti mi sono apparsi con chiarezza fin dall'incipit del romanzo di Sandro Bartolini, dal titolo L’ALFABETO A MEMORIA , vale a dire una sorta di scatola musicale che ci permette, attraverso i grafemi, di dare vita alle innumerevoli storie di infinite esistenze, sperse nella mappa cosmica dove il tempo è fatto certo di cicli di sistemi politici di avventure, ma dove i sentimenti, i caratteri, la radicale algebrica degli uomini rimangono sempre gli stessi. Naturalmente, con qualche variazione, grazie anche ai diversi tentativi di rendere la vita, se non proprio un' opera d'arte, almeno un gioco di equilibri dove i sentimenti finiscono per fare la qualità morale del'esistenza.
L’ ALFABETO A MEMORIA racconta non solo le diverse scelte che guidano tutti noi attraverso il male e il bene di vivere, ma anche gesti, interni, luoghi, stupori e meraviglie, abitudini e curiosità che, in parte, sono diventate archeologia della dolce ala del sentimento del tempo; mestieri, odori, ritmi che sono ancora quelli, lenti nel passo contemplativo, della vecchia Italia contadina.
Tirrenico, paese immaginario, ma riconoscibile per le evocate città e paesi vicini, è il luogo dove inizia la scuola di vita di Cesare. È anche l'angolo da cui lo sguardo periscopia tutti i dintorni, tratta quella parte di Toscana che ha in sé tutte le sfumature caratteriali della popolazione che ha visto, costruito, raccontato una vicenda esistenziale complessa. Come nella migliore tradizione letteraria della regione, quella di Pratolini e di Cassola, la struttura narrativa si fa teatro. Tutto si svolge in un tracciato sospeso, definito e dove, accanto al racconto del paesaggio, mosso dalle fughe nello spazio, dalla dialettica claustro aperta , tengono campo i dialoghi mossi, vibridati dall'esistenza e dalle passioni del mondo popolare.
Lo spazio che Bartolini attribuisce alla cucina, ai piatti che implicano un rapporto profondo con la Storia, è dovuto alla consapevolezza che, nelle ricette, nella ricerca dei sapori, si rivela il passaggio dal cibo come sopravvivenza alla cucina come sublimazione artistica di un bisogno materiale.
La preziosità del romanzo, comunque, non sta solo in un raffinato AMARCORD, ma nella convinzione che la radice vera della nostra letteratura, della poesia, dell'arte sta nel bisogno, proprio dell'uomo, di difendere il ricordo attraverso la bellezza e la creatività, di portare il proprio contributo alla diversità del genere umano.
Un po’ di pagine fa ho scritto che questo è un libro che si può leggere sotto l’ombrellone, davanti al mare, e quindi voglio concludere proprio con questa descrizione di una giornata al mare:
D’estate, dopo il bagno, il miglior modo per asciugarsi era quello di giocare con le palle di mare. Per la pista bastava tirare per le gambe un ragazzetto per i piedi e il culo avrebbe disegnato un perfetto percorso, sulla rena, fatto di rettilinei, curve e controcurve, discese e salite. Le regole erano le stesse dei tappini, le palle di mare venivano colpite con un dito tirato da un dito, anche le palline di plastica, con la fotografia dei ciclisti andavano di moda. Leggeri i campioni rotolavano sulla pista. Il mare frangeva instancabile nei giorni bollenti d’estate, le cicale frinivano in pineta, giocavano a Shangai coi bastoncini e all’omo morto, sotterrando il volontario in una buca, in orizzontale, lasciando scoperta la testa. Partite di pallone e bocce dopo l’ultimo bagno. La sera cenavano colla zuppa, al calare del sole, , la spiaggia ormai deserta, i piatti strusciati con la rena e lavati in mare. In Vespa e in Lambretta le famiglie ritornavano verso le colline, attraversando le macchie, la strada si arrampicava per i campi, prima di arrivare ai paesi.
E’ una pagina, questa, che odora di mare, ed è la dimostrazione di come la scrittura di Sandro Bartolini sappia rendere con poche, ma suggestive pennellate grafiche, in un sapiente dosaggio subliminale di sinestesie, le atmosfere e gli ambienti.
Pierantonio Pardi